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A CASA MIA, Edizione 2017

A CASA MIA, Edizione 2017

La tredicesima edizione del festival “Passaggi d’Autore –Intrecci mediterranei” è stata aperta da A casa mia di Mario Piredda, premiato ai David di Donatello come miglior cortometraggio.

L’opera racconta la storia di un’anziana vedova, legata afilo doppio ai ricordi e in particolare alla casa nella qualeha vissuto per moltissimi anni e che sua figlia vuole affittaredurante l’estate per poter tirare avanti; ladonna ha però soprattutto trovato nuovo entusiasmo e fiducia grazieal forte legame nato con un anziano pescatore del luogo.

Il film affronta con crudezza lospopolamento di molti paesi della Sardegna e lacondizione di solitudine a cui sono condannatii pochi rimasti, costretti a fareaffidamento gli uni sugli altri. Proprio da questo spunto si amplial’altro tema cardine dell’opera di Piredda: l’importanza che unlegame può avere nella vita delle persone. Traspareinfatti nel film la necessità, anche – anzi, soprattutto – in etàavanzata, di vivere momenti piacevoli con qualcuno, tematica espressadalla tenera amicizia nata tra la donna protagonista e il pescatore. Colpisce particolarmente la vitalità del loro rapporto, che sembracercare di riassumere in poco tempoun’intera vita di emozioni.

Dall’altra parte, la famiglia, valorecardine nella tradizione e soprattutto per gli anziani, della vedovaè mostrata come molto distaccata e completamente assuefattaall’aspetto economico della vita.

Ogni generazione è afflitta da un male che ne mina gravemente latranquillità e il regista coglie appieno anche le difficoltà deipiù giovani: disoccupazione senza possibilità di rivalsa esoprattutto la necessità di doversi affidare alle risorse dei padrie delle madri per poter sopravvivere.

Il cortometraggio è denso di un pessimismo che sembra raccontarci dicome inevitabilmente arrivi il momento di dover compiere unascelta estremamente sofferta e lancinante. Il distacco dellavedova, ormai consapevole di essersi lasciata alle spalle ogni radicedella sua vita, dalla propria casa è lostrappo definitivo che la svuoterà della vitalità mostrata neimomenti felici trascorsi col pescatore. L’unico meccanismo didifesa che le rimane, quindi, è lasciarsi trasportare dai sogni.

La metafora del distacco e dell’inevitabile fine del legame fra lavedova e il pescatore è presentata al meglio dalla cupa immagine diuna balena spiaggiata e dell’uomo che ne osserva la carcassa congli occhi pieni di un dolore profondo.

La regia di Piredda è originale senza essere troppo urlata; siaffida a ricorrenti primissimi piani ricchi di espressività,soprattutto per quanto riguarda la vedova, interpretata da GiusiMerli (apparsa ne La Grande Bellezza di Sorrentino). Anche lasceneggiatura essenziale, ma capace di arrivare al punto, trasmette apieno la visione del regista di una regione destinata, forse ormaiirrimediabilmente, al declino.

Matteo Bardi

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