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i Corti Calcistici di questa 16° Edizione

i Corti Calcistici di questa 16° Edizione

Tre indizi, si dice, fanno una prova: non si può dunque negare una certa soddisfazione critica nel constatare come all’interno della programmazione della sedicesima edizione di Passaggi D’Autore – Intrecci Mediterranei si insinuino delle piacevoli ridondanze, dei nuclei tematici che ci portano ad accostare alcune delle opere presenti nella corposa proposta della manifestazione.

Ad esempio, a generare curiosità è la centralità del gioco del calcio in tre cortometraggi, il palestinese Maradona’s Legs di Firas Khoury, l’italiano Les Aigles De Carthage di Adriano Valerio e lo spagnolo Ascenso di Juanjo Gimémez.

Maradona’s Legs racconta la storia di due bambini palestinesi impegnati nella ricerca de ‘le gambe di Maradona’, l’unica figurina mancante per completare l’album di Italia ‘90. Quelle che noi ricordiamo come notti magiche per questi bambini sono più che altro pomeriggi assolati trascorsi all’inseguimento dell’oggetto di valore desiderato, un oggetto tanto materiale quanto simbolico. Sembra il più classico schema da fiaba, efficace narrativamente benché ripetitivo nella staticità delle sue funzioni – mancanza iniziale, intraprendenza nel conseguimento della missione, deviazione dal tragitto necessaria all’acquisizione di una competenza, performance finale, riconoscimento del risultato. Eppure c’è molto di più: man mano il mondiale avanza con l’incedere del suo climax cronachistico, maggiormente si scorge sottilmente il sottotesto politico celatosi dietro alla spasmodica ricerca di una figurina. A fare da contraltare alla componente favolistica sono infatti le continue interruzioni radiofoniche dalla prima intifada, le quali costituiscono per lo spettatore un risveglio brusco e stridente rispetto allo stato euforico che un gol realizzato dai propri beniamini nazionali può suscitare. A colpire è la naturalezza con cui Rafat e Fadel vestono la maglia del Brasile (la nazionale storicamente più forte e celebrata) come se fosse la loro, ma anche l’ardore con cui addirittura rimproverano un coetaneo, anche lui brazileiro fittizio, colpevole di aver ripudiato il proprio tifo a seguito della sconfitta rimediata dai verdeoro. Non può dunque sfuggire come Firas Khoury si serva dell’impianto trasognante e fanciullesco del proprio racconto, influenzato anche dai propri ricordi di infanzia, per suscitare una riflessione a suo modo pungente e scaltra sul concetto di appartenenza negata: privati del proprio territorio e della propria identità di cittadini, ai piccoli protagonisti non resta che esplorare i luoghi del fantastico e del ludico per ricongiungersi con una parte mancante di sé.

 

Anche Les Aigles De Carthage propone uno sguardo retrospettivo verso un evento calcistico memorabile, ovvero la finale di Coppa d’Africa disputatasi a Radès fra Tunisia e Marocco nel 2004. Per i padroni di casa, le cosiddette aquile di cartagine menzionate nel titolo, si tratta di un’occasione irripetibile: nell’aria si respira la possibilità tangibile di entrare nell’alveo dei vincitori di un trofeo continentale per la prima volta, per di più sconfiggendo i rivali di sempre del Marocco. Mediante l’approccio documentaristico scelto per raccontare dall’interno la vicenda, Adriano Valerio riesce a calarsi completamente nel clima dell’epoca e a restituire efficacemente la solennita generata dal rituale calcistico. Assumendo la funzione di collante sociale per una popolazione in quel momento sottoposta alla guida dal regime dittatoriale di Ben Ali, lo sport si dimostra addirittura capace di aprire i battenti di una rinnovata consapevolezza popolare: non appare per nulla forzato credere che la ricerca di una propria voce da parte del popolo tunisino sia iniziata proprio da qui. In uno dei contributi più significativi del cortometraggio, Ben Ali viene coinvolto nella cerimonia di premiazione e di innalzamento della coppa da parte di capitan Badra e dal compagno di squadra Bouazizi. La presa, effettuata da una posizione defilata rispetto ai due calciatori, appare inizialmente timida ma poi sempre più tenace, come a volersi appropriare del trofeo, il quale non cadrà mai unicamente nelle sue mani. Sette anni più tardi, le rivolte che prenderanno il nome di rivoluzione dei gelsomini riconsegneranno il paese al popolo tunisino. A costituire questa voce ritrovata, univoca e fragorosa, sono le tante singolarità che Adriano Valerio chiama in causa durante il racconto di questo miracolo sportivo. Le parole, i gesti, gli sguardi dei tanti personaggi assurti a ruolo di testimoni denotano come i 16 anni trascorsi non abbiano minimamente leso la vividezza del ricordo di un evento ancora tangibile e commovente. Il fatto che la nazionale tunisina non abbia più ripetuto tali imprese finisce quasi per accentuare la singolarità della storia raccontata da Valerio. Les Aigles De Carthage, infine, ribadisce come il calcio (ma lo sport in generale) non faccia storia a sé ma sia, al contrario, perfettamente integrato nel contesto sociale come pratica culturale a pieno titolo. Con le proprie consuetudini, le proprie regole e una portata simbolica spesso sottovalutata, in casi come questo esso può svolgere un ruolo attivo di cementificazione politica e sociale e sovvertire almeno parzialmente l’immagine stereotipata da noi tanto comune che ne fa un secolarizzato oppio dei popoli.

 

Il terzo cortometraggio a occuparsi del mondo del calcio è Ascenso del regista spagnolo Juanjo Giménez. Rispetto ai lavori di Khoury e Valerio, lo sport più praticato al mondo non ci viene qui mostrato in una precisa collocazione storica, né pare essere fonte diretta di riflessioni o approfondimenti legati a un particolare contesto socio-politico. Questo cortometraggio è infatti ambientato fra il primo e secondo tempo di una partita il cui svolgimento non ci viene praticamente mai mostrato se non al termine. L’interesse sembra essere indirizzato verso uno slittamento che vede l’intervallo migrare da spazio-tempo di stasi, di pausa di riflessione strategica in vista dell’imminente ritorno in campo, a spazio-tempo esplosivo di tensioni profonde e irrisolvibili. Per compiere tale operazione, la scelta di Giménez ricade, comprensibilmente, sull’uso dei piani-sequenza per descrivere in tempo reale (o quasi) la deflagrazione di tutti i valori più interconnessi alla sfera sportiva e calcistica. Lo spettro della partita venduta al miglior offerente genera un processo in direttissima in nome della lesa lealtà, della fiducia reciproca venuta meno. Il nucleo si sfalda, il collettivo smette di essere tale e si riconfigura, nello spogliatoio che lo accoglie, come agglomerato di individualità deboli, avide e superbe, rimpicciolite di fronte alle tanto decantate necessità materiali. “Che scagli la prima pietra colui è senza peccato o colui non si comprometterebbe per riparare le angherie del proprio infausto quotidiano”, sembrano dire i calciatori. Quando giunge l’ora di riallacciare gli scarpini e tornare in campo, le contraddizioni e i disaccordi emersi durante l’intervallo finiscono per rendere la competizione sportiva in corso un’aspra rappresaglia in cui a essere leso è il paradossale diritto alla sconfitta. L’incombere del grottesco, registro caro a parecchio cinema iberico di genere, non soddisfa forse fino in fondo, specie se corredato ad un’agnizione finale che sa di deus ex machina posticcio e fuori tono con quanto visto fino a quel momento.

 

Piero Di Bucchianico

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