Sarajevo Film Festival è la sezione di “Passaggi d’autore” dedicata ai migliori cortometraggi che hanno partecipato al suddetto evento, manifestazione nevralgica per il cinema del sud-est europeo. In perfetta sintonia con la linea editoriale degli “intrecci mediterranei” i lavori dei registi bosniaci e turchi ripropongono tematiche di ampio respiro nonostante siano tutte già state variamente affrontate. Sajra Subašic col suo brevissimo lavoro, di appena 6′, Izranjanje (Ascending) offre agli spettatori in sala un insolito spettro di ansie e paure affrontate in apnea. Dal canto suo, Sara Ristic affida il suo Autorefleksija u tri epizode (A self-reflection in three episodes) ad un gioco stilistico scandito dall’effetto matrioska che fa da cesura netta a una serie di sequenze, ciascuna con un focus diverso e alcune delle quali con tendenze noir, realizzando un’opera di 13’ capace di suscitare emozioni a dir poco contrastanti. Con Proljece, ljeto, jesen, zima… i proljece (Spring, summer, autumn, winter… and spring) di Hamza Uysal il cinema incontra il fumetto. Il corto mette in scena l’idea di un disegno animato che pare trasportarci all’origine delle cose, riportandole all’essenza e in tutta la loro semplicità, aumentata dalla scelta cromatica del bianco e nero e dal gusto anche un po’ elementare di far parlare le figure. Procedendo verso la fase conclusiva delle proiezioni si assiste al lavoro di Deniz Telek che ci accompagna in un viaggio in cui affida ad un cane il non facile compito di rappresentare metaforicamente lo spauracchio del senso di colpa e dell’insofferenza, emozioni tipicamente umane, davanti a un’indesiderata eredità familiare: il fardello dell’animale e della madre anziana da accudire. Sulla scia della rassegnazione nei confronti della vita che, nolente o volente, cambia forma, si chiude il suo Tuga prošlog vremena (The gentle sadness of things), emblematico già nel nome. L’indagine dei sentimenti prosegue con l’ultimo corto di questa sezione dall’andatura lenta e dalle connessioni macchinose e spesso assenti, in cui si fa fatica a trovare un minimo comune denominatore. Majkino zlato (Precious), di Irfan Avdic, è forse il film più riuscito, capace di mostrare in modo crudo e senza fronzoli stilistici la realtà di Sarajevo. Un giovane protagonista cresciuto dalla nonna si lascia tentare, complice la realtà degradata che lo circonda e le ingenti ristrettezze economiche in cui vive, dal luccichio solo apparente dei soldi facili, guadagnati a forza di piccoli o grandi crimini: dallo spaccio di droga alle rapine a mano armata. In questo caso, la “banalità del male” è una questione educativa in una Sarajevo-ghetto dove affidarsi alla criminalità organizzata sembra rappresentare l’unica possibilità per un ipotetico riscatto economico ma mai sociale.
Recensione di Giulia Sanna
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