“Sciola oltre la pietra”, di Franco Fais, Italia (2006)
“Il mio tempo non ha tempo”, è questa la frase con la quale si conclude la poesia di Pinuccio Sciola e che introduce nel film omaggio di Franco Fais.
Durante i quindici minuti di svolgimento, viene presentata la figura di un uomo dalle idee affascinanti e romantiche, che vede la pietra come punto cardine della sua poesia.
La pietra è ciò a cui apparteniamo, ed è ad essa che ritorneremo, sembrano dire Sciola e il regista, mostrando i corpi umani nudi, all’interno delle cavità dalle quali l’artista ricava i monoliti.
Forse è l’artista,forse è la simmetria tracciata nelle rocce o forse ancora sono i suoni che essa produce quando viene strofinata, ma ciò che traspare è una sorta di richiamo selvaggio ed ancestrale, come un’energia latente che può essere sprigionata solamente da lui che ha saputo slegarla alla sua forma materiale.
Questo legame della roccia col mondo influenza tutti gli elementi, dal fuoco, energia selvaggia e incontrollabile, all’acqua, che scorre e sembra modellare di nuova forma le opere dell’artista, al vento, sommo strumento del suono, che attraverso le cavità riesce a far sentire la sua presenza con terribile concretezza.
Tuttavia, la grande elevatezza dell’artista è posta in gioco in modo forse dilettantistico a cominciare dal montaggio impreciso e alle volte focalizzato su dettagli di poco conto. I ralenti in particolare (nel passaggio riguardante la relazione della pietra col fuoco) sarebbero stati evitabili, così da non smorzare la narrazione. Ci si chiede perché il film non abbia approfondito le tecniche di creazione delle pietre sonore o soprattutto del dono artistico dei murales a Sansperate.
Il film omaggio si regge interamente sulla figura di un grande artista sardo, che meriterebbe certamente un encomio di più ampio respiro.
Matteo Bardi
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